Gesù ci chiama a se’ – Marco 3:13-19

Introduzione

Il brano di oggi ci parla della chiamata e della costituzione dei dodici, che sarebbero diventati gli apostoli di Cristo, e “avrebbero cambiato il mondo”, come afferma Michael Green nel suo libro: “I 30 anni che cambiarono il mondo”, dove racconta il cambiamento promosso dalla chiesa primitiva nella società del I secolo. 

In questa predicazione ci soffermeremo sulla natura e sul significato della chiamata, evidenziando che essa è ① una chiamata pensata in solitudine e preghiera, ② è una chiamata che è frutto della grazia di Dio, ③ è una chiamata che ci ha costituiti per uno scopo preciso e ④ è una chiamata che ci propone una vita di discepolato. 

In primo luogo, evidenziamo che è:

 
  1. Un chiamata pensata in solitudine e preghiera.

In questo brano Marco ci informa che Gesù sale “sul monte”, dove sappiamo da Luca (6:12), che Gesù andò per pregare una intera notte. Intanto dalle precedenti predicazioni, sappiamo che è in atto un grande conflitto con i capi religiosi, e che si sta delineando la costituzione della chiesa di Cristo. Davanti a tutto questo Gesù sente la necessità di passare un’intera notte in solitudine e preghiera davanti al Padre. Gesù pur essendo Dio, aver vissuto e operato cose straordinarie, ci insegna quanto è necessario dipendere costantemente da Dio, poiché, se Lui che era Dio, si metteva in preghiera e dipendeva dal Padre, quanto più noi, che siamo semplici uomini, abbiamo bisogno di stare alla presenza di Dio, e dipendere da Lui in ogni cosa!? Inoltre, Gesù ci insegna quanto sia necessario alternare alla testimonianza pubblica e all’impegno cristiano, momenti di solitudine e preghiera, nei momenti particolari in cui affrontiamo situazioni difficili, o dobbiamo prendere decisioni importanti per la nostra vita personale e per il futuro della chiesa. 

Ricordiamo l’esempio di Neemia, che prima di partire per Gerusalemme, e iniziare a ri-costruire le mura della città, si mette in preghiera davanti a Dio, affinché lo favorisca in questa impresa. Neemia non precedeva mai Dio con la sua iniziativa, ma si faceva sempre precedere da Lui nella sua azione, e Gesù qui dimostra la stessa impostazione da cui dovremmo imparare. Io ho bisogno continuamente di imparare a dipendere da Dio, ma possiamo trovare conforto nel fatto che, perfino un gigante come Spurgeon, ha confessato che non dipendeva da Dio come avrebbe dovuto. Oppure Tim Keller che confessava che avrebbe dovuto pregare di più. Tutto questo non ci deve giustificare, ma ci deve motivare a invocare Dio davanti alle nostre necessità, difficoltà, sfide e responsabilità.     

In secondo luogo, è:

 

2. Una chiamata frutto della grazia.

Fin dal v. 13 Marco ci dice che, la causa determinante di questa chiamata, risiede completamente nella volontà di Dio: “Gesù chiamò a sé quelli che egli volle” (v. 13). Coloro che sono chiamati da Dio, non sono scelti a caso, o per particolari qualità umane, ma sono scelti secondo il consiglio e l’iniziativa sovrana della volontà di Dio. Questi uomini erano persone semplici, e di diverse condizioni sociali, che svolgevano lavori umili e comuni, e sono scelti per la sola grazia di Dio e per la sua volontà, e non perché fossero migliori o più meritevoli di altri, ma semplicemente perché “A Dio è piaciuto così” (1 Corinzi 1:21). Giovanni 15:16 ce lo conferma quando dice che “non siamo noi ad aver scelto Dio, ma è stato Lui a scegliere noi…”. Tra i tanti uomini disponibili, e forse anche migliori di loro, Gesù scelse proprio quei semplici pescatori, pubblicani e normali “cittadini” per formare la sua chiesa. COME LORO ANCHE NOI, SIAMO STATI CHIAMATI SOLO PER LA GRAZIA DI DIO, E PERCHE’ COSI’ E’ PIACIUTO A LUI, NON PERCHE’ FOSSIMO MERITEVOLI DI QUALCOSA O PERCHE’ ERAVAMO MIGLIORI DI ALTRI, E QUESTO DOVREBBE SUSCITARE IN NOI UN’IMMENSA GRATITUDINE E UN’APPASSIONATA DEVOZIONE PER IL SIGNORE. 

Questa scelta di Gesù è operata in perfetto accordo col Padre, poiché il Padre sceglie secondo il consiglio della propria volontà, e il Figlio afferma di scegliere coloro che Lui ha voluto, che sottolinea quanto ci sia una tale identicità di vedute, che è molto più che un’unità di intenti, o di una perfetta ubbidienza, perché è frutto di un progetto trinitario, voluto dal Padre in accordo col Figlio, e nella prospettiva futura inaugurata dallo Spirito Santo. 

In terzo luogo, è:

 

3. Una chiamata che ha uno scopo.

Essere chiamati è il primo passo importante e fondamentale, ma occorre anche qualcos’altro, e infatti, Gesù dopo aver detto che li ha chiamati, per ben due volte afferma, che li ha pure “costituiti” (vv. 14, 16).

Cosa vuol dire essere costituiti? 

Essere costituiti vuol dire essere ELETTI, NOMINATI e DICHIARATI figli di Dio da qualcuno più importante, e che ha l’autorità di farlo. Per quanto riguarda ciò che Marco afferma qui, significa essere costituiti da Gesù stesso: “Ne costituì dodici…” (vv. 14 e 16). È Gesù stesso che dichiara questi uomini appartenenti a Lui, e se si è in Lui, si è una nuova creatura (2 Corinzi 5:17), a significare che si possiede una nuova identità, quella di Cristo. Ma significa anche che non si vive più per sé stessi, in funzione di sé stessi e della propria individualità, ma si vive completamente per Cristo e in funzione di Lui, della sua chiesa, del suo regno e della chiamata che ci ha rivolto, come afferma Paolo in Galati 2:20. La chiamata che Gesù ci ha rivolto non ha come fine solo la nostra salvezza o il nostro benessere, ma ha come fine principale il compimento della nostra salvezza, la conoscenza di Lui e la sua gloria in tutto quello a cui siamo chiamati da Lui.    

Gesù li chiama e loro vanno a Lui immediatamente, incondizionatamente e volontariamente, anche senza sapere la missione a cui saranno chiamati, perché questa chiamata è stata stabilita prima della fondazione del mondo, come affermerà Paolo in Galati 1:15-16 “Ma Dio che mi aveva pre-scelto fin dal seno di mia madre, e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelarmi il Figlio suo, perché io lo annunciassi agli stranieri”. Come possiamo realizzare una chiamata così impegnativa, se non abbiamo un’identità solida in Cristo, e una fede identitaria fondata su una conoscenza biblica e teologica sana? Anni fa usciva un libro intitolato: “Aggiungi alla fede la conoscenza” che invitava i credenti a formarsi biblicamente e teologicamente, per essere dei testimoni preparati e capaci di confrontarsi con la cultura del mondo (in campo etico e teologico).

QUANTO SENTIAMO IL SENSO DELLA CHIAMATA E DELLA MISSIONE? QUANTO CI SENTIAMO COINVOLTI E PARTECIPI NELLA MISSIONE CHE DIO CI HA RIVOLTO, E AL DESTINO DELLA CHIESA E DEL REGNO DI DIO IN QUESTO MONDO?    

Per questo motivo, infine è:

 

4. Una chiamata al discepolato.

Gesù chiama questi dodici uomini perché stessero con Lui, perché avevano bisogno di imparare da Lui direttamente, non solo la dottrina, ma anche il modo di vivere come ministri del vangelo. Loro avevano bisogno di stare alla presenza del loro Maestro per imparare da Lui, poiché questa è l’essenza del discepolato (come era anticamente inteso e vissuto), quello di stare col Maestro e condividere ogni cosa con Lui. Si diventa discepoli per scelta del Maestro, non per auto-candidatura, poiché essere discepoli è un dono di Dio, e fare discepoli è una chiamata che Dio ci rivolge. Il discepolato è una naturale caratteristica della vita cristiana, e non ci si può definire cristiani (o credenti) se non si è disposti ad essere discepoli e a farsi discepolare.

Chi è il discepolo? Cos’è il discepolato? 

Il discepolo è uno che si mette alla scuola di Dio, e si fa guidare dalle guide che Dio ha stabilito per la sua vita, e una chiesa cresce quando ci sono persone che leggono, studiano, discutono e condividono ciò che hanno imparato, per la crescita reciproca e per il benessere della chiesa. Il discepolo si nutre della parola di Dio, conosce la storia della chiesa e respira la sana dottrina che gli è stata tramandata nei secoli (Giuda 3). Solo così il discepolo può godere di una fede identitaria, e di una testimonianza che è alternativa a questo mondo, e può affrontare le problematiche che vive in questo mondo a viso aperto, e in un modo fieramente cristiano, senza confondersi con questo mondo. Il discepolo che ha un’identità solida, serve nella propria comunità senza chiudersi al proprio interno, ma si adopera per rapportarsi con altre comunità intorno a lui, cercando di stabilire rapporti virtuosi su progetti comuni (come ad esempio le iniziative dell’Alleanza Evangelica, corsi per le famiglie e altro ancora). Chi invece non ha sperimentato un sano discepolato, non è in grado di far discepoli, e corre il pericolo di isolarsi, chiudersi e farsi risucchiare dalla propria autonomia, e dal mondo che lo circonda. 

 

Conclusione

Il discepolo non lavora in solitudine e in autonomia, ma serve Cristo insieme a tutta la chiesa, affinché possa far risplendere una testimonianza visibile per coloro che ci osservano: “Essi, vista la franchezza di Pietro e di Giovanni, si meravigliavano, avendo capito che erano popolani senza istruzione, e riconoscevano che erano stati con Gesù” (Atti 4:13). Il discepolo insieme al popolo dei discepoli (cioè, la chiesa), adempie la chiamata di andare e fare discepoli le nazioni, proclamando la buona novella di Cristo a coloro che non sono stati ancora toccati dalla grazia di Dio. Il discepolo è chiamato a svolgere una funzione sacerdotale, regale e profetica che si interessa del prossimo in difficoltà, crea dei luoghi sani per la cura degli indifesi, per tentare di recuperarli e proclama la verità in questo mondo condizionato dalla menzogna, opponendosi pubblicamente ad ogni forma di ingiustizia e di malessere che Satana concepisce. 

Che possiamo essere dei discepoli che si mettono alla scuola di Dio per servirlo con passione e santità in questo mondo! Preghiamo.

 
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Gesù e il peccato imperdonabile – Marco 3:20-30

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Gesù regna sulla realtà spirituale – Marco 3:7-12, 22-30